10) Si va avanti. Inizia il dopoGrillo.

Pubblicato il da Stefano Montanari

SI VA AVANTI

 

 Tornando al racconto dei fondi da raccattare, ormai sulle ginocchia, ridotto ad uno zombie (Bersani non era ancora entrato in scena e lo zombie ero io per autodefinizione), andavo avanti. Non avere idea del punto in cui eravamo con la raccolta fondi era frustrante: era come essere nel pieno di una gara di corsa lunghissima e ignorare quanti chilometri manchino al traguardo, non sapere se avrei incontrato una salita, ripida?, lunga?, non avere idea se fossi primo o ultimo né sapere se quella gara fosse proprio solo di corsa o ci fosse altro. La Bortolani continuava imperterrita a negare ogni visibilità al conto bancario e il dubbio di qualcosa di sporco si faceva ogni giorno più pesante. Dubbio ho detto, non certezza, perché Marina era bravissima a non lasciar trapelare assolutamente niente e poiché nessuno è colpevole fino a prova contraria, se le prove non arrivano, non può esistere l‟accusa. Il dubbio sì.

 

Che le cose andassero per le lunghe a Grillo faceva comodo, e non solo per continuare a sfruttare (gratis: che pacchia!) la pubblicità che la sua “generosa” impresa comportava. C‟era di più.

 

Gli spettacoli erano sempre uguali a loro stessi, con leggere variazioni non di canovaccio ma di battute nei minuti che mi toccavano verso fine serata, il momento in cui, siore e siori, si faceva uscire dalla gabbia l‟animale più bizzarro esibendolo al colto pubblico e all‟inclita guarnigione. Beppe ne sparava qualcuna delle sue e mi faceva le solite domande alle quali io rispondevo.

Capitò una volta, non ricordo dove, che una delle domande mi fece uscire una battuta alla quale il pubblico rispose con una risata fragorosa, magari sproporzionata al valore della battuta stessa, ma io ero al momento un eroe garantito da un venerabile eroicomico. Quando ci vedemmo da soli nello spogliatoio Beppe mi guardò torvo, naturalmente non in faccia ma, come sempre, fissandomi la pancia, e borbottò, dandomi del lei perché al tu si arrivò molto dopo, che le battute sono solo del capocomico. Fu quello l‟unico appunto che ricevetti in tutta la mia carriera di fenomeno da baraccone e se Grillo, sempre un po‟ timido nei mie riguardi, arrivò a farmelo era per la sua paura che qualcuno gli facesse ombra anche per un solo minuto. Ma quale ombra potevo mai fargli io? Meglio, però, non rischiare.

 

Intanto andavo avanti perché io non mollo, ma quei benedetti 378.000 Euro sembravano irraggiungibili come un miraggio nel deserto.

 

Una sera facemmo uno spettacolo promozionale a Brescia, una Scienza in Piazza, proprio sotto l‟inceneritore autopremiato e i fan locali disposero quarantadue cassettine per la raccolta. Prima di salire sul palco io mi posizionai all‟ingresso del palazzetto dello sport e vidi parecchie persone infilare denaro, addirittura qualche banconota da cinquanta Euro. A fine spettacolo andai a recuperare il gruzzoletto e, con sorpresa, contai le cassettine: sette. Le aprii insieme con i ragazzi e ci trovai una cifra di cui non ricordo l‟entità ma che era a dir poco deludente. E di biglietti da cinquanta nemmeno l‟ombra. Andai da Grillo e gli riferii il fatto. “Capita,” fu il suo commento. Oppure capita – nessuno può escluderlo - che io conti quarantadue quando è sette e che le banconote da cinquanta siano infilate solo a metà e poi ritirate da chi a donatore si è solo atteggiato. Capita.

 

Tra gli altri ci fu un ulteriore episodio quanto meno bizzarro. Il giorno che seguì la Scienza in Piazza di Salerno - era il 17 giugno 2006 - Beppe ed io andammo a Sorrento per quella che, nelle intenzioni, era una specie di summit dei grillini meridionali69. Nei fatti i partecipanti furono pochissimi e qualcuno veniva addirittura dal Piemonte. A fine giornata i ragazzi che avevano raccolto i fondi per noi la sera prima arrivarono con poco più di 4.000 Euro e me li consegnarono. Io tentai di non prenderli, chiedendo loro di fare un bonifico bancario alla onlus Bortolani, ma non ci fu nulla da fare. Quelli mi dissero che per loro sarebbe stata una seccatura e, alla fine, presi quel denaro. Il mattino dopo, tornato a Modena, andai in banca e spedii tutto al conto della Onlus. Dopo diversi mesi qualcuno dei ragazzi di Salerno pubblicò la notizia che io me ne ero andato via intascando beatamente quei soldi. Il che, se si vuole, risponde al vero, ma la cosa fu recepita come se io quei quattrini me li fossi tenuti. A nulla valse esibire il documento bancario che spiegava con chiarezza ciò che era già chiaro fin dall‟inizio.

 

Ormai ero impaziente. Non solo ero molto stanco, visto che partecipavo agli spettacoli e poi, quasi sempre, cercavo di tornarmene a casa dove spesso arrivavo quasi all‟alba per essere subito in laboratorio, e visto pure che le duecento e passa conferenze in un anno erano tutt‟altro che una passeggiata, ma c‟era pure l‟impegno da onorare con la FEI, il fornitore del microscopio, cui c‟era da pagare la fattura che io mi ero impegnato a saldare se l‟obiettivo della raccolta non fosse andato in porto. Grillo mi ripeteva che non esistevano problemi, una verità dal suo punto di vista, e la Bortolani continuava gommosamente a fare la sua parte.

 

A fine febbraio 2007, però, arrivò un bonifico da 50.000 Euro. Di questo avevo assoluta certezza perché avevo visto il documento bancario che mi era stato mostrato dall‟autore stesso del versamento Giuseppe Zanardelli, il responsabile di una ditta di produzione di energia pulita chiamata LA220 S.p.A. Zanardelli e il suo collaboratore Marco Geronimi Stoll erano venuti a trovarmi in laboratorio mesi prima restando colpiti dalle nostre ricerche e, per questo, decisero di darci una mano. Per inciso va detto che quella società ebbe poi diverse peripezie ma a me non fu chiesto in cambio della donazione nient‟altro che un pomeriggio dedicato alle loro maestranze per spiegare quale fosse l‟impatto delle polveri sulla salute. Per questo io non dovetti neppure muovermi, dato che furono loro a venire a Modena in laboratorio.

 

Tornando a bomba, a quel punto Marina Bortolani non poteva più svicolare: le cifre che aveva fornito fino a quel momento, vere o taroccate al ribasso che fossero, addizionate a quei 50.000 Euro non potevano che superare l‟obiettivo. Vista la mia presa di posizione sulla necessità di bloccare le donazioni, la presidentessa della Onlus e Grillo comunicarono la fine della raccolta70,71 con un eccesso di 3.947 Euro e la precisazione “Tale importo (anche nel caso dovesse risultare maggiore) verrà utilizzato per sovvenzionare parte delle ricerche della Dott.ssa Antonietta Gatti e del Dott. Stefano Montanari.” È necessario sottolineare che, ancora una volta, si parlava delle ricerche “della Dott.ssa Gatti e del Dott. Montanari” e di nient‟altro? È necessario aggiungere che non ci arrivò un centesimo?

 

Ma, imbrogli o no, finalmente Morena ed io potemmo tirare un sospiro di sollievo e io cominciai a recuperare i chili perduti tra spettacoli, conferenze e nottatacce.

 

Per completezza d‟informazione e in aggiunta ai misteri, aggiungo che in una data a me sconosciuta Marina Bortolani aprì un conto presso la Unipol a nome della Onlus su cui trasferì, non saprei se del tutto o in parte, il denaro arrivato. Notizia che mi diede lei stessa. Non essendo mai state comunicate pubblicamente le coordinate bancarie, si può escludere che quel conto servisse a raccogliere fondi per il microscopio. Io mi chiedo il perché di quell‟operazione sulla quale mi è

 

69 http://peppecarpentieri.blogspot.it/2006/07/stefano-montanari-e-beppe-grillo.html

70 http://www.beppegrillo.it/2006/03/la_ricerca_imba.html

71 http://www.bortolanionlus.it/?p=111

 

impossibile non avere il sospetto, peraltro senza alcuna conferma, che la Bortolani dovesse in qualche modo e non so perché dirottare del denaro. Resta il fatto che anche di quel conto non abbiamo mai avuto ragguagli riguardanti i movimenti e perfino il numero, e la manovra attende da anni giustificazione e documentazione.

INIZIA IL DOPOGRILLO

 

 

L‟ultima volta che ci vedemmo ad uno spettacolo fatto insieme - io nella solita parte del cane bastonato salvato dal boy scout, lui del boy scout - fu a Ferrara. Era il 10 marzo 2007 e non era più possibile tirarla per le lunghe perché l‟obiettivo della raccolta era stato dichiaratamente raggiunto e noi due non avevamo niente da dirci. Nel paio d‟anni di frequentazione non avevamo mai avuto niente da dirci davvero e mai era nato un barlume non dico d‟amicizia ma nemmeno di vaga simpatia, da parte mia perché con lui io non avevo trovato niente da spartire e da parte sua, per quanto ne so, perché io ero semplicemente una pedina da usare, usata per quello che poteva dare, e adesso il copione prevedeva altro nei miei confronti, qualcosa che, chissà, magari gli dava un certo imbarazzo. Può darsi che sapere di dover accoltellare alle spalle qualcuno che conosci dia un senso di disagio anche a chi non ti aspetteresti mai.

 

I ricordi che ho di Grillo in quell‟ultima occasione sono legati al pubblico che occupava il palazzo dello sport fino all‟ultima sedia e che si accalcava fuori senza poter entrare perché là dentro non ci sarebbe stato più posto nemmeno per una mosca. Beppe era sempre seccato se vedeva una sedia vuota: mancato pienone e, dunque, successo incompleto con un biglietto venduto in meno. Ma quella sera non solo il palazzo dello sport straripava: addirittura si spingeva per entrare. Peccato: ci fosse stato qualche posto in più, si sarebbe venduto un altro pacchetto di biglietti.

 

Poi, a monotono rito completato, come sempre, si andò a cena. Quasi non ci parlammo. Potrebbe sembrare strano che, in qualche modo, non si festeggiasse l‟obiettivo centrato di una raccolta popolare di quattrini per un fine nobile, ma così fu: non avevamo niente da dirci e, soprattutto lui, niente da festeggiare. Beppe, secondo la prassi, era attorniato da leccapiedi che variavano da luogo a luogo, sempre a me sconosciuti, e con loro s‟intratteneva laconicamente, con condiscendenza come chi altro non si aspetta se non adulazione: qualche occhiata superiore, qualche breve sentenza e basta.

Me ne tornai a casa. Era un sabato notte e la mattina avrei potuto dormire un po‟ di più. Passò parecchio tempo prima che ci rivedessimo.

Senza nessuna nostalgia per i dodici mesi passati, anzi, con grande sollievo, Morena ed io potemmo buttarci a capofitto nelle ricerche. Una in particolare ci premeva: quella iniziata con il dottor Diego Gazzolo, pediatra allora di stanza a Catania poi trasferito ad Alessandria, su certe malformazioni fetali. Ma di lavoro di ricerca per il microscopio ce n‟era a iosa.

 

Senza che io riesca a comprenderne la ragione, pare che la soverchiante maggioranza del popolo italiano sia convinta che, disponendo di un microscopio elettronico, i risultati della ricerca saltino fuori come le canzoni da un juke box di antica memoria. La differenza, sempre nella visione dei più, sta nel fatto che il juke box chiede la monetina e il microscopio no: quello partorisce risultati a raffica per germinazione spontanea.

 

Mi dispiace sottolinearlo insistendo con un argomento grossolano come quello del denaro ma, ahimè, le cose stanno in tutt‟altra maniera. Il solo mantenimento dell‟apparecchio costa non poche decine di migliaia di Euro l‟anno e ogni intervento tecnico, malauguratamente niente affatto infrequente stante anche la fragilità dell‟oggetto, costituisce un salasso vero e proprio. Poi, naturalmente, occorrono il locale adatto per ospitare lo strumento, le stanze con le apparecchiature cosiddette ancillari, cioè quelle che servono a conservare e a preparare i campioni, un po‟ di personale addestrato, qualcuno che sappia soddisfare le esigenze della pubblica burocrazia e quant‟altro. Insomma, ci vogliono quattrini, e neanche pochi come, del resto, accade per qualsiasi ricerca dei nostri tempi, ricerca, beninteso, che non sia fatta su Internet come fanno alcuni celebrati conferenzieri correnti. Per ciò che riguarda Morena e me, non solo noi abbiamo sempre lavorato gratis ma in quel laboratorio abbiamo riversato tutto quanto avevamo messo da parte in due vite di lavoro. Nessun piagnisteo: è una libera scelta, scelta che mi ha dato solo guai e che non rifarei.

 

Ciò che fanno tutti i laboratori di ricerca, non importa se pubblici o privati, è cercare di mantenersi almeno in parte vendendo la frazione vendibile del loro lavoro. La cosa non solo è del tutto normale ma fa addirittura parte degli obblighi, per esempio, delle università che dovrebbero cercare di dipendere il meno possibile dal denaro dei contribuenti. Anche noi, quando capitava, vendevamo analisi e, con il ricavato, mettevamo qualche pezza, del tutto insufficiente ma, comunque, meglio di niente. Io, poi, avevo accettato un lavoro di consulenza con una ditta romana di cardiochirurgia che niente aveva a che vedere con le nostre ricerche, e tutto il non disprezzabile ricavato, fino all‟ultimo centesimo, finiva a reggere il laboratorio.

 

Tutto questo va tenuto in debita considerazione se si vuole capire la pretestuosità di quanto sarebbe cascato addosso in quello che allora era il futuro.

 

I quattrini: quanto di più volgare esista ma quanto di più indispensabile per fare un sacco di cose, ricerca compresa. Fu così che un gruppo di ragazzi del meetup fiorentino di Grillo, ragazzi  che conoscevo da tempo, mi chiesero se ero d‟accordo che loro organizzassero una raccolta fondi per darci una mano72. È fin troppo ovvio che io non potessi che essere d‟accordo e i ragazzi partirono con entusiasmo, raccattando in qualche mese quattromila Euro: poca roba, oggettivamente, ma era solo l‟inizio e ogni gocciolina era per noi vitale.

 

A quel punto ci fu il primo attacco scoperto e del tutto inatteso, almeno per me. Una mattina mi arrivò in laboratorio una busta giallina, una raccomandata proveniente da Genova spedita da un tale avvocato Enrico Grillo. Il contenuto era una diffida inviata a me personalmente: in nome del rappresentato Beppe Grillo mi s‟intimava di non raccogliere denaro tramite un meetup a lui intestato. Telefonai immediatamente a Firenze avvertendo i ragazzi dell‟accaduto. Uno di loro, avvocato, telefonò al collega genovese per fargli notare l‟assurdità della cosa: io non c‟entravo per nulla con l‟iniziativa e loro, i ragazzi, non erano legati da condizioni di nessun genere a Grillo. Imperturbabile, l‟avvocato Enrico rispose che su tutto questo non c‟erano dubbi ma che lo zio (l‟avvocato Grillo era il nipote di tanto zio) non gradiva e avrebbe sconfessato pubblicamente l‟iniziativa. Una minaccia che altrove sarebbe stata non solo ridicola ma che avrebbe palesato chiaramente la statura morale dell‟ispiratore del gruppo. Insomma, un autogol. Invece, i ragazzi di Firenze chinarono la testa e interruppero seduta stante la raccolta. Giusto per completezza d‟informazione, l‟avvocato grillino era Alfonso Bonafede, poi diventato l‟onorevole Alfonso Bonafede del Movimento 5 Stelle.

 

È ovvio che io mi chiesi il perché di un‟azione allora così inspiegabile e, soprattutto, così ignobile ma non riuscii a darmi una risposta ragionevole. Tentai più volte di telefonare a Grillo, gli scrissi e-mail e lettere cartacee ma non ottenni mai risposta. Quello fu il momento in cui Grillo cominciò a dare dimostrazione, almeno a me, di che cosa sia l‟arte della fuga, un‟arte che con Bach

 

 

non ha a che vedere e che si è rivelata quanto mai efficace nella tattica di Casaleggio. Ma, a parte ciò, perché?

 

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