3) Hotel Carlton, Bologna. Invece....

Pubblicato il da Stefano Montanari

HOTEL CARLTON, BOLOGNA

 

Io sono di una puntualità assoluta. Anzi, arrivo d‟abitudine con qualche minuto d‟anticipo perché non sopporto aspettare e non faccio agli altri ciò che non voglio sia fatto a me. Una meno cinque, perciò.

 

Nella hall dell‟albergo il mio ospite non c‟è. Al bancone della reception mi dicono che il signor Grillo non si può disturbare. Dopo un quarto d‟ora, scocciato, chiamo Damiano. “Vedo di svegliarlo,” mi sussurra imbarazzato come se gli avessi chiesto di commettere un atto impuro. Qualche mese prima ero stato invitato insieme con Morena a Londra da Lord Morris of Manchester. Lui e sua moglie furono cronometrici perché la puntualità, come mi è stato insegnato, è la cortesia dei re. E delle persone educate, indipendentemente da eventuali titolo nobiliari.

 

Se avessi dato retta a me stesso e avessi fatto ciò che faccio quando mi trovo davanti a comportamenti inurbani, me ne sarei andato.

 

Un destino maligno volle altrimenti.

 

Finalmente Grillo compare. Ha un aspetto che mi è impossibile non definire tetro. Mi guarda appena al di sopra della cintura, e lo fa di sfuggita. Come la sera prima, sembra lo interessi la mia pancia perché più su di lì non solleva lo sguardo. Si ferma con un gruppo di persone che lo aspettavano sedute su divani e poltrone da prima che io arrivassi. Baci e abbracci. Chiacchiere cui lui partecipa poco. Passa un po‟. Mi scoccio ancora di più. Aspetto. Alla fine arriva. Spedisce via Damiano e andiamo insieme nella sala da pranzo dell‟albergo. Siamo soli. Non un buon segno per un ristorante. Arriva il cameriere. Grillo gli si rivolge secondo il giusto costume previsto per rapporti con un servo della gleba. Qualche piccolo maltrattamento preliminare alla maniera del picador con il toro morituro come da copione. Poi “che cosa c‟è da mangiare in questo posto?” Il cameriere sciorina il menu. “Spaghetti al pomodoro, ma senza burro. Hai capito? Senza burro.”

 

A formalità concluse, Grillo mi chiede che cosa penso dello spettacolo. Sono preso in contropiede: non penso niente. Invento qualcosa che, evidentemente, non lo soddisfa. Lui mi scruta sempre senza guardarmi negli occhi. Sembra a disagio e non capisco perché. Mi chiede che cosa facciamo mia moglie ed io. Non ho idea se non avesse capito che cosa gli aveva raccontato Morosini, se se ne fosse dimenticato o se nemmeno si fosse preso la briga d‟informarsi. Ma non ero “straordinario”? Comincio a raccontare e lui prende appunti su un foglio. Arrivano gli spaghetti. Grillo li arrotola sulla forchetta e se li ficca in bocca. Si ferma. Chiama il cameriere e lo infama. C‟è il burro. “No, signor Grillo, ho chiesto espressamente al cuoco…” Maltrattamenti. Appena Grillo si sente soddisfatto di come ha denudato il cameriere di ogni barlume residuale di umana dignità, il meschinello gli chiede l‟autografo. Avrei preferito non essere lì.

 

Spiegato il nostro lavoro nel modo più semplice possibile senza arrivare a snaturarlo, me ne torno a Modena.

La sera mia madre mi chiede: “Che effetto ti ha fatto?” “Non buono,” rispondo io.

Ecco, a quel punto mi sarei dovuto ascoltare e questo maledetto libricino non avrebbe avuto ragione di esistere.

 

INVECE…

 

Invece non andò così.

 

Passarono mesi senza che io avessi notizie di Grillo e il ricordo di quell‟incontro tutt‟altro che memorabile era stato riposto nel dimenticatoio.

Il pomeriggio del 1° novembre piovigginava. Io ero seduto al computer, probabilmente impegnato a smaltire la posta, quando squillò il telefono. Chi mi chiamava era una tale Raffaella Pirini4 a me allora sconosciuta e il messaggio era la richiesta di partecipare quella sera stessa ad uno spettacolo che si sarebbe tenuto al palazzo dello sport di Forlì5. A suggerire il mio nome, disse la voce della mia interlocutrice, era stato Beppe Grillo. Lo scopo dello spettacolo? Una raccolta fondi per un centro oncologico o forse altro, non ricordo, e io ero chiamato per parlare delle polveri sottili e del loro potenziale come induttori di malattia.

 

Purtroppo andai.

 

Il palazzo dello sport era pieno come un uovo con la gente che si accalcava per entrare. Insieme con me c‟erano Dario Fo, un paio d‟intrattenitori radiofonici RAI, Maurizio Pallante e Gianni Tamino, il professore dell‟Università di Padova con cui, negli anni a seguire, avrei fatto qualche conferenza e avrei pure scritto, anche curandolo, un libro in collaborazione con altri6.

 

In pochi minuti io illustro il problema e la cosa colpisce molto Fo che poi, a cena, mi fa il complimento più lusinghiero che abbia mai ricevuto nella mia vita: ho la stessa chiarezza di Enrico Fermi. Non so se il complimento sia meritato, ma me lo tengo. Da un Nobel, poi…

 

Fu quello, credo, l‟ulteriore punto di svolta che contribuì a rovinarmi la vita. Era martedì 1° novembre 2005 e Grillo capì che gli potevo essere utile.

 

La prima svolta rovinosa era stata diversi anni prima, all‟inizio degli anni Novanta, quando, a due riprese, portai un paio di filtri cavali estratti da due pazienti al laboratorio dei biomateriali dell‟Università di Modena di cui era fondatrice e responsabile Morena. Senza entrare in particolari che non servono in questo contesto, i filtri cavali sono piccoli sistemi metallici che vengono impiantati nella vena cava, una grossa vena che sbocca direttamente nel cuore, per prevenire una malattia chiamata tromboembolia polmonare. In quei due casi i filtri si erano rotti e noi li esaminammo per determinare la ragione di quelle rotture. Al di là del fatto tecnico, peraltro di facile soluzione, con sorpresa trovammo sulla loro superficie la presenza di elementi chimici che non appartenevano né all‟organismo umano né ai filtri stessi e non riuscimmo a spiegarcene la ragione.

 

4 Poi diventata consigliere comunale a Forlì del Movimento 5 Stelle (http://www.ilgiornale.it/news/perini-nessuna- fronda-nel-m5s-casaleggio-chiarisca-suo-ruolo-836612.html).

A lei scrissi due mail chiedendo alcune risposte su quanto sarà riportato nel seguito di questo libro. Le risposte furono in linea con il progetto di Casaleggio: nessuno ne sa nulla e sono certo che Raffaella non mente. Va detto pure che Raffaella manifesta un certo disagio all‟interno del Partito (http://www.giornalettismo.com/archives/485061/il-video- che-spiega-il-sistema-espulsioni-nel-movimento-5-stelle/ e http://www.giornalettismo.com/archives/485111/raffaella- pirini-la-fronda-a-grillo-singrossa/).

5 http://www.meetup.com/grillipensanti/messages/boards/thread/1554022

6 Rifiuto: Riduco e Riciclo – Arianna Editrice

 

Incidentalmente, quel ritrovamento del tutto straordinario, stavolta straordinario per davvero, fu censurato dalle riviste mediche, molto restie a pubblicare informazioni che possano turbare il corso della Medicina non come è ma come fa comodo che sia. Fu solo a cavallo tra il 1997 e il 1998 che Morena, studiando per una serie di casualità un paziente con problemi di fegato e di reni, si accorse che questi organi erano invasi da polveri molto piccole di ceramica, una ceramica che proveniva da una protesi dentaria malfatta che il paziente piano piano si mangiava. E proprio quelle polveri avevano causato la malattia di cui nessun medico era stato capace d‟individuare la causa. Quella scoperta, che io non ho mai cessato di maledire per la rovina alla mia vita che ha portato, ci permise di accorgerci che le polveri, comunque entrate nell‟organismo, viaggiano con il sangue (ed ecco perché stavano sui filtri di qualche anno prima) per fissarsi poi in qualunque organo causando una lunga serie di malattie che Morena battezzò nanopatologie, con quel prefisso nano che deriva dalle nanoparticelle, cioè le particelle che costituiscono le polveri fini e, per questo, terribilmente inquinanti. Ma tutto questo è stato ampiamente descritto in tanti articoli e in un libro strettamente scientifico7.

 

Al sommo della sfortuna io mi accorsi subito che la scoperta era rivoluzionaria, che poteva aprire un panorama formidabile in Medicina e, senza prevedere i guai che mi avrebbe portato, mi ci buttai dentro anima e corpo, rovinando la vita mia e della mia famiglia.

 

Fedele a se stessa e al livello scientifico e morale dell‟accademia nostrana, l‟Università di Modena fece di tutto per ostacolare Morena. Io ero fuori dei giochi perché non ho mai fatto parte dell‟Università, lasciata nel 1972 senza rimpianti un secondo dopo una laurea conseguita nel minor tempo tecnicamente possibile. Non era tollerabile che un semplice ricercatore, ché tale era Morena, facesse scoperte mentre chi stava ai piani alti al massimo scopriva la maniera per far entrare qualche cliente pagante in scuola di specialità o per mandare avanti in carriera qualche figlio, amante o cliente non proprio dotatissimo. Né si poteva permettere che quella scoperta disturbasse un bel po‟ di business che prevedevano, certo involontariamente, il rilascio di polveri inquinanti. Così l‟Università di Modena negò la miseria di venti milioni di Lire, i diecimila Euro di oggi, per proseguire le ricerche, asserendo che ciò che Morena aveva individuato non era possibile, non essendo citato nei libri. Ribattere che una scoperta non può essere scritta preventivamente nei libri non servì a nulla. Del resto, basta consultare le classifiche mondiali per accorgersi della posizione avvilente dei nostri atenei e per capire che per questo avvilimento almeno una ragione c‟è.

 

Nel 2002, però, dopo anni di ricerche fatte in gran parte all‟estero in condizioni di fortuna, Morena ottenne un finanziamento di un milione di Euro dalla Comunità Europea per dirigere un progetto internazionale di ricerca da lei ideato chiamato Nanopathology in cui erano coinvolte, tra gli altri partecipanti, le università di Mainz e di Cambridge. Parte di quel denaro fu dedicato all‟acquisto di un microscopio elettronico cui, tra parentesi, contribuimmo sostanzialmente anche noi con fondi personali, e la ricerca sulla capacità delle micro- e nanopolveri d‟innescare malattie prese a funzionare a gonfie vele. 

Ma l‟Università di Modena non era affatto contenta e fece in modo di chiudere di fatto la possibilità di ricerca nel laboratorio di Morena. Allora io riuscii ad allestire in fretta e furia un laboratorio esterno dove poter portare a termine il progetto, quel laboratorio in cui ancora oggi, con immensa fatica, cerchiamo di non interrompere le ricerche. Il che avvenne in modo un po‟ rocambolesco con risultati di enorme interesse.

 

7 A.M. Gatti, S. Montanari – Nanopathology – Pan Stanford Publishing

Nessuna sorpresa quando ci si sottrasse il nostro microscopio. Occorre sapere che, per motivi burocratici, l‟apparecchio che Morena aveva acquistato era stato intestato all‟Istituto di Fisica della Materia che era tra i partecipanti al progetto Nanopathology. Con un atto che meriterebbe una spiegazione comprensibile l‟allora ministro dell‟università Letizia Brichetto Arnaboldi maritata Moratti decise di accorpare l‟ Istituto di Fisica della Materia al CNR, cosa che comportava automaticamente il passaggio del microscopio nell‟inventario di quest‟ultimo ente. Approfittando dell‟opportunità ghiottissima, un personaggio modenese che rappresentava allora in loco il CNR e che non gradiva che qualcuno facesse ricerche che il personaggio in parola non sarebbe mai riuscito a fare pur ambendovi, disse: “il microscopio è mio.” Al solito, in mancanza d‟altro, chi non brilla di luce propria cerca di diventare percepibile spegnendo quella altrui. Ma tutto questo è raccontato in un po‟ più di dettaglio in un altro libro8.

 

Torniamo ora a Forlì, alla cena con Dario Fo e Beppe Grillo.

 

Grillo mi chiese se ero disponibile a raccontare ai suoi spettacoli ciò che avevo raccontato quella sera, in pochi minuti, al palazzo del sport. Se lo spettacolo era non lontano da casa e senza impegni particolari, sì, ero disponibile.

 

Così, senza accorgermene, scivolai nelle fauci del Grillo Mannaro.

 

 

 

8 Il Girone delle Polveri Sottili - Macroedizioni

 

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