13) Comincia la Via Crucis.

Pubblicato da Stefano Montanari

COMINCIA LA VIA CRUCIS

 

 Al botto iniziale seguì qualche raccomandata nostra senza effetto. Ormai era impossibile anche ad un ingenuo come me non capire che ci trovavamo di fronte a qualcuno che aveva completamente sorpreso la nostra buona fede e che aveva cominciato a tradirci fin dal primo momento. Anzi, il progetto era cominciato senza che nemmeno ci conoscessimo. L‟atto non certamente onorevole di Grillo con cui veniva impedita la raccolta di fondi tentata a Firenze per sostenere la ricerca ora trovava una spiegazione.

 

Diverso tempo prima il professor Coccioni mi aveva telefonato dicendomi di cercare un altro appoggio fittizio per il microscopio, dato che l‟università di Urbino, da privata che era, stava diventando pubblica e, dunque, per motivi burocratici che non capii ma che potevano senz‟altro esistere, il microscopio non poteva più essere di pertinenza del suo Centro di Geobiologia.

 

Allora mi misi alla ricerca di una soluzione e individuai Monte Giove. L‟Eremo di Monte Giove, situato su di una collina nell‟immediato entroterra di Fano, mi pareva la soluzione più adatta. Nella mia ingenuità immaginavo che la Bortolani, devota cattolica come si atteggiava, sarebbe stata felice di vedere il “suo” microscopio passare attraverso i monaci camaldolesi. E poi si trattava di un centro di cultura retto sì da religiosi ma laico a tutti gli effetti culturali e di tutt‟altro che scarsa rilevanza. Dunque… E, invece, no: a sorpresa, quello non le piaceva. Il motivo, motivo che mi fu chiaro troppo tardi, era semplice: i monaci si sarebbero presi il microscopio solo sulla carta e quella situazione sarebbe stata per sempre, cosa che non poteva starci con il progetto che la Bortolani e Grillo portavano avanti.

 

Tra la ricerca di una collocazione fasulla e il niet della Bortolani passò diverso tempo e io, alla fine, avevo lasciato perdere la questione, anche perché il professor Coccioni di Urbino mi aveva rassicurato confidenzialmente dicendomi che nessuno si sarebbe comunque mai accorto del patto esistente tra il suo centro ormai defunto e la onlus Bortolani.

 

E qui arrivò il botto della Bortolani con la sua raccomandata.

 

Allora mi spiegai non solo il rifiuto di accettare Monte Giove ma anche la reazione incomprensibilmente imbarazzata di Coccioni quando, diversi mesi prima, gli avevo chiesto senza successo di scrivere un post sul mio blog a proposito dei depositi sotterranei di anidride carbonica. Ora la cosa diventava chiara: lui era uno dei manutengoli del giochetto e lo metteva a disagio la mia richiesta. E si spiegava pure la “rassicurazione” che mi aveva data perché io non facessi niente.

 

Anche se non avevamo ancora capito che cosa stesse alle spalle della trappola in cui eravamo cascati, ora vedevamo chiaramente, purtroppo con il senno di poi, che gli elementi per prevedere qualcosa d‟ignobile c‟erano e che noi non avevamo dato loro importanza.

 

Una delle cose di cui non riuscivamo a capacitarci era di come l‟Università di Urbino avesse potuto non tanto rendersi complice di un obbrobrio del genere, per di più senza nemmeno avvertirci, perché di questo le università italiane sono maestre , ma non avesse valutato gli aspetti più banalmente pratici dell‟operazione. Urbino era in condizioni economiche tali che in qualunque paese meno bizzarro dell‟Italia sarebbe stata chiusa senza por tempo in mezzo, il tutto senza che la scienza ne avvertisse il minimo contraccolpo. Chiunque abbia un barlume d‟esperienza in materia sa che mantenere un microscopio elettronico come quello che si stava tentando di sottrarci comporta costi elevati: per prima cosa, volendolo trasferire, occorre smontarlo, trasportarlo e rimontarlo, e qui si arriva già ad oltre i 20.000 Euro (oltre all‟IVA che l‟Università non recupera e che, perciò, è una spesa). Poi occorre ricalibrare lo strumento, il che significa un altro salasso, e, se non lo si tiene a scopo ornamentale ma lo si usa, bisogna rifornirlo all‟incirca da una a due volte la settimana di azoto liquido che, per legge, deve essere fatto arrivare con un mezzo di trasporto apposito. In aggiunta si deve tener presente che si tratta di un‟apparecchiatura molto delicata e in un‟università, dove, sempre che lo si usi, in tanti la maneggiano e non tutti hanno la mano leggera, gl‟interventi tecnici sono di necessità relativamente frequenti, interventi che hanno costi addirittura stravaganti. Tutto questo senza tener conto del fatto che è necessario disporre di una collocazione idonea, di personale addestrato e di progetti di ricerca, tutte cose di cui Urbino non disponeva. Se si mette in conto, poi, che di nanopatologie, cioè della disciplina per la quale era nata la colletta, Urbino sapeva meno di nulla, si completa il quadro. Ragionandoci sopra senza conoscere le vere motivazioni, l‟azione non stava in piedi.

 

Di questo Morena ed io discutemmo il 17 luglio 2010 con Enzo Fragapane che dell‟Università era allora – ora non più - direttore amministrativo. Stando a quanto ci disse, della vicenda lui non era al corrente e, anzi, ci disse che la Bortolani non solo non lo aveva ragguagliato sulla storia del microscopio, ma lo aveva assicurato che Morena ed io non stavamo nella pelle per la fortuna che ci era cascata addosso relativamente alla sua collocazione a Urbino. Insomma, nella descrizione che Fragapane aveva ricevuto e alla quale aveva curiosamente dato fede senza prendersi almeno il disturbo di telefonarci per controllare, noi eravamo due personaggi bislacchi elettrizzati dall‟opportunità di perdere lo strumento di ricerca ed entusiasti di esserci massacrati per fornire un soprammobile a qualcuno che non aveva mosso un dito per ottenerlo, che sta a 220 chilometri da casa nostra, in una città in cui la stazione ferroviaria più vicina è a 40 chilometri e dove non esistono nemmeno le attrezzature di base per preparare i campioni da osservare. Decidere, come si suol dire, se Fragapane lo era o lo faceva è facoltà di ognuno.

 

A Urbino arrivò una piccola valanga di mail di protesta dei donatori che si erano sentiti truffati da Grillo e dalla Bortolani. Arrivarono diffide alla Bortolani82 e a Urbino83. Arrivò persino una lettera84 datata 12 ottobre 2009 firmata dall‟onorevole Giuseppe Cossiga, allora sottosegretario alla Difesa, che invitava il Rettore a non dare seguito a quella porcheria, trovando “adeguata soluzione”. Il risultato fu un muro di gomma con il rettore Stefano Pivato85 che, credo in coerenza con la sua educazione e la sua correttezza, non reputò valesse la pena di rispondere a Cossiga. Quanto a noi, ben si guardò dal prenderci in considerazione perché è probabile che nei salotti in cui lui si muove il concetto di onestà sia un po‟ particolare e chi viene fregato meriti solo disprezzo. Dopotutto, nel nostro Paese furbo e intelligente sono usati come sinonimi.

 

 

82 http://www.pleonastico.it/modules/news/article.php?storyid=175

83 http://www.oltrelacoltre.com/?p=4485

84 Caro Professore, mi riferisco alle già note attività di ricerca e studio che il Dicastero della Difesa conduce sulla problematica “Uranio Impoverito” e “Nanoparticelle”. Come Lei saprà, il Ministero della Difesa ha istituito un Comitato di Prevenzione e Controllo delle Malattie che si avvale, tra l‟altro, della professionalità e competenza della Dottoressa Antonietta GATTI e del Dottor Stefano MONTANARI i quali, grazie alla sofisticata strumentazione di cui dispongono, forniscono un continuo flusso di dati e risultanze che sono determinanti per la quotidiana ricerca del

suddetto Comitato. In qualità di delegato in materia dal Signor Ministro, sono stato informato che il microscopio in uso presso i suddetti professionisti potrebbe cambiare destinazione d‟uso e divenire proprietà dell‟Università di Urbino determinando conseguentemente il possibile arresto delle indagini in corso, con ripercussioni facilmente immaginabili sul perseguimento degli obiettivi di ricerca sulle note patologie. Auspico un Suo intervento affinché si possa considerare adeguata soluzione. La ringrazio anticipatamente per quanto potrà fare. G. Cossiga. (Prot. n° 2/44390/2.6.96/2009)

85 http://stefanopivato.wordpress.com/presentazione/

 

Va detto pure che la Bortolani rispose per un po‟ con un testo standard a chi chiedeva lumi: “A breve risponderemo in modo dettagliato, anche se può trovare tre post già chiarificatori sulla vicenda del microscopio sul sito www.bortolanionlus.it. Purtroppo sig. X, non sempre tutto è come appare… La consigliamo anche di visionare i siti http://www.m4ss.net/2...e http://www.byoblu.com...”86 Manco a dirlo, le risposte, dettagliate o no che fossero, non ci furono mai.

 

Più tardi venimmo a sapere che qualche docente dell‟Università di Urbino, pur accorgendosi immediatamente della porcheria, se ne stette zitto perché la moglie o il figlio, naturalmente inseriti in Università, ambivano ad un passetto di carriera. Altri, e non pochi, avevano espresso parere negativo su quel trasferimento, un po‟ per dignità e un po‟ per motivi strettamente economici, ben sapendo che, già avendo difficoltà con i meri stipendi, non c‟erano i quattrini per far funzionare quell‟aggeggio. Ma, evidentemente, imbavagliare le nostre ricerche valeva abbondantemente la vergogna. Non la rovina economica perché il microscopio, fino a che rimase a Urbino, non fu mai messo in funzione e, dunque, non costò un centesimo al di là dei denari relativi al trasferimento da Modena non saprei dire raccattati come. Il gioco, tuttavia, valeva la candela.

 

Perché fu scelta quella collocazione ha risposte molteplici. In primis esisteva già la testa di ponte del professor Rodolfo Coccioni il quale, per motivi che preferisco non indagare, era disponibile a fare da spalla all‟operazione. Poi c‟era la sicurezza assoluta che in quell‟Università non si sarebbe mai fatta alcuna ricerca di nanopatologie, ricerca che - allora con mio grande stupore, ora non più - infastidiva Grillo o, meglio, chi di Grillo reggeva i fili. In aggiunta, raggiungere Urbino da Modena non è impresa che si compie in un lampo, e chiunque ci abbia provato facendo il pendolare sa che cosa voglio dire. Infine, come ciliegina sulla torta, c‟era una vecchia storia che mi coinvolgeva. Qualche anno prima un‟azienda aveva tentato di costruire un inceneritore a biomasse a Schieppe di Orciano87, un paese della Valle del Metauro proprio in provincia di Pesaro e Urbino. Il comune locale mi chiese una consulenza tecnica da portare davanti al magistrato per impedire quello che sarebbe stato uno scempio ecologico e io quella consulenza fornii88. Dall‟altra parte, l‟azienda si era presa proprio un professore dell‟Università di Urbino per difendere il proprio progetto, un tale Orazio Antonio Attanasi89, titolare della cattedra di Chimica Organica alla facoltà di Scienze e Tecnologie. Senza entrare in particolari tecnici per carità di patria, la conclusione fu che l‟impianto non si fece e tutte le argomentazioni che quel docente aveva sparato per controbattermi finirono pudicamente sotterrate. Marginalmente, aggiungo che il comune vicino di Montemaggiore che sarebbe stato pure investito dai miasmi e dai veleni dell‟inceneritore mi concesse la cittadinanza onoraria90. Insomma, imbavagliando la nostra ricerca qualcuno a Urbino avrebbe goduto di una sorta di vendetta consumata fredda.

 

Va da sé che noi cercammo di vendere cara la pelle ma, purtroppo, forse mal consigliati da un paio d‟avvocati certo in buona fede ma senza esperienza specifica, dopo all‟incirca sette mesi da quella raccomandata vedemmo smontare e portare via il microscopio e, con lui, la possibilità di continuare ricerche che non avevano uguali al mondo.

 

Anni dopo un vecchio avvocato docente emerito de l‟università La Sapienza mi disse che, se avessimo rifiutato di mollare il microscopio al contrario di come, invece, ci fece fare uno dei legali cui ci eravamo rivolti, l‟apparecchio sarebbe restato presso di noi almeno per un bel po‟ di anni. Identica cosa mi disse poi un giudice. Che nel febbraio 2013 il nostro avvocato di allora sia diventato deputato del partito di Grillo potrebbe indurre in tentazione a pensare male, cosa che io non mi sogno nemmeno di fare.

 

 

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